Opera di Maggie Taylor |
Le piaceva
moltissimo guardarsi nello specchio, quando ne aveva uno a disposizione. E il
suo passatempo preferito era nascondere porzioni del suo viso e immaginare che
a completare la parte visibile potesse esserci qualcos’altro. I bordi dello
specchio tracciavano nella sua fervida immaginazione linee di matita che
dividono, come i bordi irregolari dei pezzettini dei puzzle impediscono che si
capisca a quale posto quel pezzettino vada posizionato.
Aveva
inserito tra i capelli un pettinino di osso verde e marrone, con una pietra
cangiante di un verde più chiaro. Era un vecchio regalo ricevuto da una zia
anni prima. Lo custodiva con affetto perché, quando lo aveva ricevuto, le
sembrò di ricevere un dono prezioso. Lo aveva preso tra le sue piccole mani di
bambina con la stessa cura con cui si prenderebbe un cristallo fragilissimo, e
con gli occhi sgranati aveva sussurrato un tiepido grazie. A pensarci adesso,
mentre cercava di domare una ciocca di capelli, le tornavano in mente solo le
mani rugose che avevano stretto quel pettinino prima delle sue mani di bimba. Si
era sentita fortunata, quasi scelta da quell’adulta così austera e composta che
le incuteva anche qualche timore.
Pensava
a tutto questo mentre giocava con il riflesso nello specchio e con il pettinino
tra i capelli. Stava cercando di darsi un tono e con una mano stirava un lembo
della gonna, mentre con l’altra assicurava la chiusura dell’orecchino.
Andava
orgogliosa del suo spazio. Tutto aveva un posto preciso e adesso che stava
aspettando un ospite occorreva assicurarsi che fosse tutto in ordine, i capelli
al loro posto, e i quadri ben allineati.
Guardandosi
attorno per passare in rassegna la stanza, un sorriso di soddisfazione le si
allungò sul viso magro. Abbassò gli occhi e si scrutò la punta delle scarpe
bianche. Come fanno i bambini si spinse fino al bordo della sedia e allungò le
gambe, mentre con i palmi delle mani si puntellava sul bordo. Aspettava un
ospite e ne era davvero contenta. Avrebbe fatto accomodare il suo ospite,
sarebbe andata in cucina a fare un the, e poi lo avrebbero sorseggiato
chiacchierando del più e del meno. Nel frattempo il lieve vento di primavera
avrebbe fatto muovere le tende e sarebbe entrato il sole di primavera a
scaldare la sua casa accogliente. E magari il suo ospite avrebbe notato quanto lei
fosse piacevole e la sua casa accogliente.
La porta
si aprì e d’istinto si alzò andando incontro al rumore, poi si risedette
subito.
Quando
l’uomo entrò non poté che sedersi su una vecchia sedia e osservare quanto fosse
magra e impacciata la donnina che aveva di fronte. L’unica finestra sprangata
proiettava pallidi riquadri sul pavimento scrostato, scrostato come le pareti,
su cui, in file ben allineate si susseguivano disegni astratti tracciati come
da un bambino su fogli irregolari. Su un tavolino spoglio un piccolissimo
specchio sembrava resistere alle apparenze. Due scarpe bianche, simili a
ciabatte spuntavano fuori da una lunga gonna sbiadita, sotto cui non sembrava
esserci nessuno. Ma la donnina era lì che, dondolandosi imbarazzata sulla sedia
di fronte, sorrideva orgogliosa.
“Mi
scusi il disordine” disse lei.
E lui,
impettito nel suo camice lindo, cominciò “Non si preoccupi. È qui da più di sei
anni, signorina M., vuole dirmi se le nuove medicine che le stiamo dando la
fanno sentire meglio? La scorsa settimana ha aggredito un inserviente che
voleva solo darle da mangiare. ”
In un
angolo del letto addossato alla parete, dietro un lembo del lenzuolo, facevano
capolino due cinghie di tela sfilacciata, mentre nel piccolo specchio sul
tavolo si rifletteva il pettinino verde e marrone con una pietra luminosa a
reggere una ciocca di capelli grigi.
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